Fotografando i cinghialiTutto iniziò dai libri, che conservo ancora oggi, stampati nel lontano 1977, dalla casa editrice AMZ, della collana Guarda e scopri gli animali.

Sono loro la causa che fecero nascere in me, fin da bambino, una curiosità sfrenata verso gli altri abitanti della terra

Iniziai così un’avventura meravigliosa, di continua ricerca personale per soddisfare la mia voglia di conoscere.

Diventai goloso di libri, di immagini, di ore passate in boschi e prati, di tracce, suoni, profumi, colori.

Ora dopo anni trascorsi a cercare di sapere qualcosa posso dire con certezza di non sapere ancora niente, di non essere riuscito a soddisfare se non in piccolissima parte la mia curiosità.

La vastità delle forme di vita sulla terra è quasi infinita, milioni di specie di animali e piante creano un meraviglioso caos, inestricabile, in cui tutto è collegato, non esiste memoria che possa ricordare tutto questo, non esistono volumi che possano contenere ciò che non sappiamo.

Alla natura si aggiunse molto presto la passione per la fotografia, un aiuto alla memoria per registrare le mie osservazioni sul campo e la possibilità di descrivere momenti con la luce.

Ho iniziato con un piccolo reperto archeologico, la Kodak Retina, una compatta a pellicola, con cui mi divertivo a scattare ovunque, molte volte in bianco e nero.

Negli anni successivi vennero, la prima reflex, Topcon RM300, sostituita da una Olympus OM10, che mi ha seguito fino al salto digitale, avvenuto prima con una compatta bridge Panasonic FZ20, poi con le reflex Nikon D200, D300S, D800E, D500 a cui si è aggiunta la mirrorless Olympus OM-1.

La fotografia in questi ultimi anni si è evoluta tantissimo e mi ha fornito il mezzo per poter congelare e far vedere anche ad altri ciò che ho la fortuna di incontrare, in mezzo a boschi e montagne. Nell’immagine mancano i suoni, i profumi, e tutte le sensazioni che può dare la natura solo camminandoci dentro, ma il fatto di inquadrare e poter selezionare un’emozione in mezzo a cento altre è già un traguardo importante.

La fotografia ti fa fermare, osservare, vedere dentro, ti obbliga a farti pensare al presente, a ciò che hai davanti, è il gusto di fermare la corsa, di estraniarsi dai pensieri quotidiani. Per un centesimo di secondo il mondo si ferma e hai il controllo del tempo.

Il “Panta rei oFotografando al lago di Tovels potamos” di Eraclito per un attimo non esiste.
Non si può discendere due volte nel medesimo fiume e non si può toccare due volte una sostanza mortale nel medesimo stato, ma a causa dell’impetuosità e della velocità del mutamento essa si disperde e si raccoglie, viene e va.
Per l’attimo dello scatto , noi piccoli esseri insignificanti che ci ergiamo a creature soprannaturali con diritto all’eternità, siamo sospesi, vediamo, quando il tempo si ferma, il resto del mondo.

L’insetto che si inquadra in quel momento è la creatura più importante sulla terra, quel minuscolo puntino nero che non hai mai visto, ora si fa scoprire, ti ferma e impegna tutta la tua attenzione, per renderlo come merita.

Se dovessi definire cosa rappresenta per me la fotografia naturalistica probabilmente risponderei che è una continua ricerca di risposte a tante mie domande.

Scatto per scoprire, per imparare, per avventurarmi in ricerche sconosciute, per catturare il lato bello della vita, per provocare negli altri un senso di rispetto verso la natura, o per far notare ad altri ciò che l’occhio distratto non ha tempo di vedere.

Purtroppo sempre più spesso il piacere del mio vagare per boschi, valli e montagne è rovinato da tanta inciviltà umana.

Non c’è più valle, prato o ruscello che non porti il segno della nostra specie “intelligente” ed allora mi ritrovo a chiudere la reflex nello zaino e a riempire sacchetti di bottiglie, lattine, pacchetti di sigarette, bossoli di cartucce.

Probabilmente in quei posti l’uomo non si è mai fermato ad osservare, è passato veloce con il suo carico di fretta, ha preso, consumato, lasciato il suo fardello di rifiuti, sentendosi padrone dove invece è un ospite temporaneo.

Di questo modo di vivere se ne sente parlare spesso senza vergogna, la natura è vista come un ostacolo al “progresso”, il mondo viene valutato solo in base a ciò che si può sfruttare, alla limitata e provvisoria utilità economica.

Ciò che non serve alla nostra specie eletta, secondo molte menti “involute” non è utile e non ha motivo di esistere, ciò che non si può mangiare, uccidere, strappare, tagliare, bruciare, vendere, cementificare, è superfluo, inutile, fondamentalmente improduttivo di denaro.

La natura diventa un nemico da combattere, fa notizia nei telegiornali solo in senso negativo e la speculazione economica vince quasi sempre con la sua propaganda di disinformazione interessata.

Aumentando la popolazione a dismisura sempre più persone avranno interesse a screditare e confinare in un ghetto di sognatori, catastrofisti, ambientalisti, animalisti, estremisti e rompiscatole chi difende il pianeta su cui viviamo senza interessi. Etichettare le persone per catalogarle come fanatici è solo uno dei modi per cercare di escluderle da qualunque dibattito, chiunque osi opporsi ai vari interessi economici è catalogato come ostacolatore di un “progresso” che finora ha potuto avvelenare quasi tutto.

Forse con l’aumento della cultura, con la lenta evoluzione del nostro cervello, riusciremo un giorno ad avere una visione più ampia, ad apprezzare più la felicità e meno i soldi, a pensare ad altre migliaia di generazioni che verranno dopo di noi, a combattere la nostra indifferenza e a porre un limite al consumo infinito di risorse finite.

Non penso che le fotografie possano cambiare questo modo di pensare ed usare la nostra terra, ma credo che possano documentare ciò che stiamo perdendo, ricordarci, ogni volta che le vediamo, che ciò che distruggiamo, non saremo mai più in grado di ricrearlo.